Non ho bisogno dello psiconcologo
Tra le malattie a minaccia per la vita, il cancro si pone per chi ne è colpito come evento tra i più traumatici e stressanti. Indubbiamente poche altre malattie hanno così evidenti conseguenze per la persona ammalata, minacciando e interferendo su tutte le dimensioni su cui si fonda l’unicità e l’identità dell’essere umano: la dimensione fisica, la dimensione psicologica, la dimensione relazionale, la dimensione spirituale
Lo psiconcologo (così è definito lo specialista psicologo in questo ambito) offre al malato di cancro un supporto psicologico in tutti i momenti delicati della malattia: la diagnosi di tumore, la comunicazione di un intervento chirurgico collegato alla patologia oncologica, la decisione del trattamento medico da effettuare. Lo psiconcologo sostiene il malato durante le terapie (chemioterapia, radioterapia, intervento chirurgico) per aiutarlo a far fronte ai diversi effetti collaterali. Lo psicologo-oncologo, inoltre, presta particolare attenzione alla comunicazione di una recidiva, per aiutare il paziente ad affrontare il crollo delle speranze, il senso di impotenza, la consapevolezza di non riuscire a vincere la malattia e la crescente paura della morte.
L’efficacia clinica degli interventi psicologici e psicoterapeutici in pazienti con diverse tipologie di tumore è stata ampiamente dimostrata nella letteratura specialistica. In particolare si è osservato la riduzione di tensione, rabbia, insonnia, ansia, depressione, una migliore capacità di adattamento alla malattia, una migliore comunicazione con i familiari e lo staff medico, un aumento dell’autostima e dell’immagine corporea, una migliore gestione dello stress e della relazione con il partner (National Cancer Policy Board, 2004; Hogan et al., 2002; Goodwin et al., 2001; Kissane et al., 1997).
Oggigiorno la maggior parte degli ospedali che ha reparti oncologici prevede un’équipe di psicologi per garantire un supporto psicologico ai malati di cancro. Il servizio è sostenuto dal Sistema Sanitario Nazionale e in genere è totalmente gratuito per il paziente che è esentato dal pagamento del ticket.
Tuttavia, gli studi condotti in ambito oncologico sull’atteggiamento dei pazienti rispetto alla possibilità di avvalersi di un aiuto da parte dello psico-oncologo hanno evidenziato come in molti casi l’offerta di aiuto venga rifiutata.
Ma quali sono le ragioni di questa rinuncia? Ecco alcuni esempi.
Purtroppo ancor oggi nel nostro Paese sussistono dei condizionamenti culturali rispetto al contatto con lo psicologo: “Non sono matto, quindi dallo psicologo non ci vado di certo.”
Un altro aspetto riguarda la reazione alla diagnosi di cancro. Il malato, che si confronta con il timore di perdere la propria autonomia e di diventare sempre più dipendente dagli altri, si sforza di “fare da solo”.
Il senso di impotenza generato dalla malattia, può anche suscitare nel malato dei sentimenti di inutilità rispetto al colloquio con lo psicologo: “A cosa può servirmi? Tanto non c’è nulla che possa fare per me. Solo i medici possono offrirmi l’aiuto necessario”.
Alcuni studi hanno evidenziato come coloro che rifiutano l’aiuto dello psicologo tendono ad essere più oppositivi o apprensivi e sembrano essere caratterizzati da una generale propensione a negare le difficoltà, a minimizzare i problemi (e quindi anche a minimizzare l’impatto del cancro nella loro vita) e a reprimere le emozioni che sarebbero ovviamente elicitate dalla psicoterapia (Worden e Weisman, 1980). Una delle motivazioni fornite dai pazienti è che gli incontri con lo psicologo ricorderebbero loro di “avere il cancro” (Baider et al., 1997).
Altre ricerche hanno indicano come coloro che sono in condizioni mediche molto gravi o in condizioni lievi tendono a non aderire all’intervento di supporto (Brusis et al., 1993). Per quanto riguarda le situazioni di malattia più gravi si può ipotizzare che l’attenzione per gli aspetti psicologici possa apparire secondaria rispetto a quella posta solitamente alle cure mediche.
Un altro motivo riguarda il paziente oncologico anziano, che spesso, per volontà dei familiari, è tenuto completamente all’oscuro della diagnosi di cancro e della sua prognosi, per via della profonda paura connessa ancor oggi a tale diagnosi. Questa consuetudine di “non dire” preclude la possibilità di parlare con i pazienti dei loro vissuti e delle modalità con cui affrontano la malattia e la minaccia di morte.
Fonti