Ho letto con interesse questo libro di Margherita Graglia, che consiglio vivamente a chi vuole approfondire il tema dell’omofobia, termine con il quale si intende la paura e l’avversione nei confronti degli omosessuali e dell’omosessualità.
I perni attorno al quale Margherita Graglia svolge l’accurata disanima dell’omofobia sono quelli della non visibilità e del silenzio, che sono una subdola forma di omonegatività sociale. L’autrice parte dal presupposto che “nessuno di noi è immune dall’omonegatività di cui è imbevuta la nostra cultura” [p. 31]. Soprattutto in Italia “l’omosessualità è qualcosa di cui è meglio non parlare” [p. 12] e questo comporta, in ultima analisi, il mancato riconoscimento dei diritti umani fondamentali delle persone LGBT (acronimo di Lesbica, Gay, Bisessuale, Transessuale/Transgender). Il pregiudizio moderno nei confronti di queste persone, infatti, “si esprime indirettamente e non mette più in dubbio la liceità di essere gay e lesbiche, bensì la loro possibilità di vivere le relazioni al pari degli eterosessuali, in termini di visibilità sociale e riconoscimento istituzionale” [p. 30]
Un concetto che mi ha particolarmente colpito è quello di assunzione di eterosessualità. Nonostante mi sia sempre considerata una persona senza pregiudizi nei confronti delle persone LGBT, leggendo questo libro mi sono resa conto di non essere priva di una certa dose di omonegatività. Non avevo mai pensato che l’assunzione di eterosessualità fosse una forma di discriminazione. Non molto tempo fa si è presentata presso il mio studio una ragazza dai lineamenti delicati, molto femminile, dolce, ed ho dato per scontato che fosse eterosessuale, mentre così non era. Quindi, lo stereotipo che una donna lesbica debba essere mascolina, decisa, vestita con i pantaloni era ben attivo nella mia mente. Sicuramente l’esperienza mi è servita da lezione e il testo della Graglia mi ha chiarito che non si è trattato solo di un semplice errore, ma di omonegatività.
Nella prima parte del libro Margherita Graglia offre un’accurata spiegazione di cosa è e come funzione il processo psico-socio-culturale definito “omofobia”, partendo dalla premessa che “il pregiudizio antigay è considerato accettabile …. e proprio per questo difficile da sradicare” [p. 22]. L’accento è posto sul tentativo di mettere a fuoco le funzioni psicosociali che l’omofobia svolge, in quanto “non è il prodotto di una mente individuale problematica, bensì di un sistema sociale che crea una diversità e la marchia con il valore negativo” [p. 24].
A livello intraindividuale l’omonegatività svolgerebbe una funzione difensiva e socioespressiva (soprattutto negli uomini eterosessuali), mentre nelle donne eterosessuali sarebbe un modo per manifestare un’ideologia religiosa o familiare. L’omosessualità eliciterebbe una serie di paure collettive e individuali: la paura dell’estinzione della specie, la paura di alterare l’ordine dell’identità di genere, la paura di perdere identità, potere e controllo sociale, la paura di prendere contatto con la propria omofilia.
Margherita Graglia pone in evidenza le pesanti ricadute che l’omonegatività genera nell’autostima delle persone LGBT, che sono alle prese con emozioni di vergogna, colpa, paura, rabbia e impotenza. Lo stigma che le colpisce finisce per porle in una condizione di isolamento e di minaccia del proprio senso di sicurezza. L’enorme sofferenza patita dalle persone LGBT è dovuta ad una tassonomia arbitraria della nostra cultura, che ha inventato le categorie dell’omosessualità e dell’eterosessualità, così finiamo per dare “per scontato che le convenzioni siano la realtà” [p. 55]. Del resto, le rappresentazioni sociali forniscono un ordine al mondo e ci aiutano a “formulare aspettative su chi sono gli altri e su come relazionarci con loro” [p. 73].
Dato che non è possibile cercare di sopprimere gli stereotipi e i pregiudizi, Margherita Graglia suggerisce alcuni modi per farvi fronte e diminuire così l’omonegatività.
Nell’ambito della scuola andrebbe favorita l’inclusività e la visibilità, per esempio parlando apertamente di omosessualità, promuovendo nella didattica il tema dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, contrastando il bullismo omofobico, non lasciando cadere nell’indifferenza le battute antigay tra gli studenti etc. Già a partire dalla scuola primaria andrebbe promossa la salute psicosociale dei bambini che svilupperanno identità e/o comportamenti non eterosessuali. In tal senso assume un ruolo centrale la figura del pediatra nel gestire in modo opportuno con i genitori ciò che il figlio esprime.
In ambito sportivo sarebbe auspicabile una politica antidiscriminatoria, purtroppo ancora molto radicata; la regola tacita, che i ragazzi gay e le ragazze lesbiche che praticano sport imparano subito, è quella di non parlare del proprio orientamento sessuale.
Le persone LGBT incontrano molte difficoltà anche in ambito lavorativo. I contesti lavorativi sono purtroppo pregni di atteggiamenti discriminatori verso le persone LGBT (mancata assunzione, mobbing, molestie), tanto che “il lavoro è l’ambito in cui le persone LGBT nascondono di più l’orientamento sessuale” [p. 164]. In particolare condizioni di difficoltà possono venire a trovarsi le persone transessuali, soprattutto nel periodo della transizione.
Margherita Graglia evidenzia che “per creare dei luoghi di lavoro inclusivi occorre agire a tutti i livelli, quello istituzionale, interpersonale e individuale” [p. 166] tentando di promuovere una cultura del rispetto nella pratica quotidiana. I suggerimenti sono semplici, ma efficaci, per esempio non assumere che tutti siano eterosessuali, non fare battute o raccontare barzellette antiLGBT, esplicitare la propria contrarietà verso batture omonegative.
L’impronta più forte può essere data a livello istituzionale, sia nella difesa di pari diritti delle persone LGBT, che delle famiglie omoparentali, che in Italia rimangono socialmente invisibili. Margherita Graglia riporta i dati di numerose ricerche che confutano i luoghi comuni per cui i genitori gay e le mamme lesbiche avrebbero meno competenze genitoriali delle coppie eterosessuali. Inoltre, gli studi mettono in luce che i figli delle famiglie omogenitoriali non presentano problemi psicologici o sociali maggiori di quelli di genitori eterosessuali.
Concludo con una bella frase citata da Margherita Graglia nell’ultima pagina del libro: “nonostante non facciamo esperienza di tutto, su tutto emettiamo un giudizio” [p. 262].