«Due ranocchi erano vicini di casa. Uno abitava in fondo allo stagno di là dalla strada, l'altro di qua, dove aveva un suo po’ d'acqua. E quello dello stagno insisteva sempre con l'amico perché si trasferisse dalla sua parte, dove sarebbe vissuto meglio e più tranquillo; ma lui non voleva, diceva che ormai aveva le sue abitudini, che era un rompere col suo passato... Finché avvenne che un carro passò di lì e lo schiacciò.
Morale della favola: anche tra gli uomini: certuni, sempre nelle loro meschine abitudini, non s'accorgono di finire così, prima d'aver dato alla vita quella svolta che li avrebbe fatti star meglio.»
Mi è capitato recentemente di rileggere questa favola di Esopo, che con la sua antica saggezza esprime un concetto fondamentale riguardante l’essere umano: la difficoltà a cambiare, anche quando si vivono esperienze che ci rendono infelici.
Pensiamo, per esempio, quanto è arduo per ciascuno di noi chiudere una relazione che ci fa soffrire oppure lasciare un lavoro insoddisfacente nel quale ci sentiamo sfruttati o poco valorizzati.
Di fatto, al benessere e alla felicità preferiamo di gran lunga la sicurezza derivante dalle nostre abitudini, dal nostro modo di essere (dalle nostre strutture mentali, dai nostri meccanismi di difesa, dalle soluzioni adottate in passato per risolvere i problemi), dal nostro adattamento alla vita.
In sostanza, siamo indotti a ripetere (in una sorta di “coazione a ripetere” come asserì Freud) modalità relazionali passate, come espressione di un bisogno di sicurezza, rimanendo fissati a circostanze spiacevoli e dolorose, eppure preferibili ad un attivo cambiamento.
Spesso portiamo avanti, senza rendercene conto, “antiche battaglie emotive” che ci tengono impantanati in situazioni penose e conflittuali, e proprio questi antichi ingaggi ci rendono faticoso lasciare la presa e imboccare nuovi sentieri orientati verso una maggior serenità.
Tutto questo si riflette sulla difficoltà a rivolgersi ad uno psicoterapeuta ed anche sul trattamento psicoanalitico stesso, che si rivela un processo lungo e faticoso, appunto perché si attivano delle resistenze (spesso inconsce) di fronte al cambiamento, anche quando si è afflitti da sintomi invalidanti.
Come scrive Freud:
«L'abbreviazione della cura analitica rimane un legittimo desiderio […]. Ad essa si oppone purtroppo un elemento di grande rilievo, la lentezza con la quale si compiono modificazioni psichiche profonde, dunque in ultima analisi l' "atemporalità" dei nostri processi inconsci.”
Tuttavia il cambiamento è possibile. Come? Lavorando su noi stessi con pazienza e con indulgenza, un passo dietro l’altro nel meraviglioso viaggio orientato verso la conoscenza del nostro modo di funzionare dal punto di vista mentale ed emotivo, verso la conoscenza di noi stessi.
Concludo questo breve scritto con le parole di Oriana Fallaci tratte da “Se il sole muore”:
«Si cambia con lentezza, la stessa lentezza che muta la primavera in estate, l’estate in autunno, l’autunno in inverno.»
Fonti