In quest’epoca segnata dalla pandemia di Covid-19 abbiamo visto le drammatiche immagini dei mezzi militari trasportare i feretri dei morti che il cimitero di Bergamo non poteva accogliere.
Inutile dire che, come bergamasca, sono rimasta profondamente scossa da queste scene che si ripetono da settimane.
Le famiglie dei morti da Coronavirus non hanno avuto la possibilità di stare vicino ai loro cari negli ultimi momenti di vita né di un commiato attraverso la cerimonia funebre.
Il rischio è che questi lutti rimangano irrisolti, costituendo dei traumi dolorosi che impediscono di tornare a vivere: senza un’elaborazione del lutto non si smette di considerare inaccettabile ciò che è accaduto.
Ogni individuo, dal bambino di pochi anni di vita sino alla persona anziana (passando ovviamente per tutte le sfumature intermedie), spesso ha uno o più questioni aperte con persone che, per motivi diversi, non è riuscito a portare a termine.
Liberarsi da questi pesi non è una prerogativa solo di chi sta per morire, ma anche e soprattutto di chi resta. Non essere riusciti a dire ad una persona a noi cara: “ti voglio bene” o “per quell’incidente ti ho perdonata” o “scusami per quella volta in cui …”, rischia di diventare un senso di colpa gigantesco. Il pericolo è quello di ritornare senza sosta su tutto quello che avrebbe potuto essere detto e, soprattutto, su quello che non è stato fatto.
I sensi di colpa impediscono di vedere l’effettiva realtà delle cose e di affrontare il lutto.
L’emergenza Coronavirus comporta l’ospedalizzazione – spesso improvvisa - del proprio congiunto e l’impossibilità di stargli accanto nelle ultime fasi di vita; questo può divenire causa di lutti bloccati, con l’incapacità di tornare a vivere non riuscendo a superare la perdita del proprio caro.
Quel poco che possiamo dire a proposito del “senso della vita” può essere utile per comprendere un particolare problema dei morenti.
L’attuazione del senso dell’individuo è strettamente correlata al significato che egli è riuscito a raggiungere per gli altri, durante la sua vita, mediante la sua personalità, il suo comportamento, il suo lavoro.
In tal senso è importante che i familiari possano dimostrare alle persone in punto di morte che non hanno perduto importanza per loro. Quando il morente sente che non riveste più alcuna importanza per le persone che lo circondano, allora è realmente solo.
Purtroppo la drammatica situazione dei contagi impedisce la vicinanza e dunque la possibilità di questo riconoscimento da parte dei familiari al proprio caro nelle ultime fasi di vita.
Ogni società e ogni epoca rappresentano con le loro cerimoni funebri il loro modo di concepire la “buona morte”, il loro modo di concepire il superamento dei lutti, il loro modo, cioè, di aiutare i morenti a morire bene e chi rimane a “tornare a vivere” dopo la morte di una persona cara.
Significa che ogni società può essere giudicata oltre che in base al benessere e alla felicità che è in grado di garantire ai suoi membri, anche in base all’aiuto che è in grado di fornire loro attraverso le pratiche tanatologiche (dal greco thànatos "morte" e lògos "studio") quando la perdita dei propri cari mette in pericolo benessere e serenità.
Le cerimonie funebri sono il coronamento dell’assistenza al morente e il punto d’avvio (il cosiddetto lutto preparatorio) del lutto vero e proprio, facendo in tal modo parte integrante di quel complesso di pratiche (le pratiche tanatologiche appunto) che costituiscono l’esperienza della morte dal punto di vista del morene, di chi rimane e della società.
L’addio alla vita ha quindi in ognuno di noi un momento esistenziale forte: partecipare al funerale di una persona cara. Questo diviene una possibilità di elaborare il lutto per la morte del caro.
Il funerale (al di là che una persona sia credente piuttosto che atea) è una sorta di “rito di affidamento” in cui chi resta “riconosce il lascito” di chi è morto “promettendo” di proseguire la vita in base a questo lascito. Questo rito di affidamento favorisce l’elaborazione del lutto essendo una “sacralizzazione” dell’accordo tra il morente e chi resta, accordo iniziato nel corso della vita e possibile fino all’ultimo istante.
L’idea della morte fonda l’idea della “buona morte”, l’idea della buona morte fonda l’idea del funerale, l’idea del funerale fonda l’idea del lutto.
Le cerimonie funebri, in altre parole, sono una delle espressioni più significative per far sì che una morte sia una buona morte, affinché chi rimane possa superare il lutto.
Fonti
Campione F. “Contro la morte. Psicologia ed etica dell’aiuto ai morenti” CLUEB, Bologna (2003)